Il rientro al lavoro per un ex malato Covid-19, non è semplice. Certamente andranno ad influire molte concause per la guarigione in toto, come ad esempio “una sana e robusta costituzione” all’origine, e in che forma il virus si è sviluppato. Non dimentichiamoci che per guarire in fretta serve molta forza di volontà, ed è quindi in gioco il sistema emotivo della persona che è messo a dura prova.

Un percorso di malattia difficile che porta oltre a gravi problemi respiratori anche tanti disagi psicologici dovuti ai percorsi, all’isolamento e alla battaglia per “tornare alla normalità“. Una ricerca ha dimostrato che chi è sopravvissuto al Coronavirus è stato costretto ad “affrontare difficoltà di salute e finanziarie, anche per i mesi seguenti“.

Ammalarsi di Covid-19 anche in forma lieve, può causare disturbi e disagi per mesi. La sindrome chiamata “post-covid” o “long-covid”, colpisce moltissime persone, si pensa fino al 10 per cento di chi è stato contagiato, Sono soggetti ufficialmente guariti e negativi al tampone che però hanno sintomi persistenti e disturbi che durano da più di tre mesi, principalmente stanchezza, debolezza, fiato corto, eritemi, perdita di memoria, ansia e dolori muscolari, problemi che rendono loro impossibile tornare a stare bene come prima.

Altro effetto causato dallo strascico del Covid-19 è la perdita di memoria a breve termine : in molti lamentano la perdita di memoria a breve termine, non riuscendo a concentrarsi, dimenticando dettagli della giornata appena successi e sul lavoro il rendimento non è più lo stesso.

In aggiunta, si è notato che nei mesi di lock down, i sintomi legati ad ansia, depressione e allo stress, sono aumentati. In particolare una ricerca coordinata dal Dipartimento di Salute Mentale dell’Università della Campania “Luigi Vanvitelli” insieme all’ ISS su un campione di 20.720 partecipanti, ha evidenziato come questi disturbi si siano aumentati soprattutto nelle donne.

Per quanto riguarda i pazienti post-Covid, in Italia sono gli ospedali ad occuparsi in alcuni casi di richiamare i pazienti a distanza di alcune settimane dopo le dimissioni. Solitamente, però, i monitoraggi riguardano persone che nella precedente ondata erano casi da moderati a gravi, ma, come detto, i postumi possono riguardare qualsiasi tipo di infezione

 

Rientro in servizio di un lavoratore ex paziente covid accerato

Ricordiamo come comportarsi in presenza di un caso sospetto di Covid-19 in azienda.

Nel caso in cui il lavoratore presenti sintomi come febbre e sintomi di infezione respiratoria, quali tosse, raffreddore e mal di gola, dovrà :

  • Informare tempestivamente il datore di lavoro.

Il DL di lavoro a sua volta :

  • Procede all’isolamento fiduciario;
  • Avverte le autorità sanitarie competenti e i n. di emergenza COVID-19, che andranno ad identificare eventuali “contatti stretti” (Circ.Min.Salute n. 18584 del 29/05/2020);
  • sospende temporaneamente l’attività nel reparto produttivo o locale di lavoro, arieggia i locali

in attesa di disinfezione secondo le modalità ministeriali;

  • Collabora con l’Autorità Sanitaria fornendo copia del protocollo anticontagio aziendale;
  • Si confronta con il medico competente per eventuali modifiche al protocollo anticontagio.

 

I casi ricoverati, una volta dimessi restano in isolamento domiciliare obbligatorio; anche i casi risultati positivi al tampone e che hanno sviluppato forme cliniche meno gravi, trattate a domicilio, sono posti in isolamento domiciliare obbligatorio.

La guarigione viene certificata quando viene eseguito un tampone molecolare (non “rapido” o

antigenico) con risultato negativo:

  • in soggetti in assenza di sintomatologia, dopo un periodo di isolamento di almeno 10 giorni

dalla comparsa della positività;

  • in soggetti sintomatici, dopo un periodo di isolamento di almeno 10 giorni dalla comparsa

dei sintomi, seguito da almeno 3 giorni senza sintomi (non considerando le variazioni di

gusto ed olfatto che possono avere persistenza prolungata nel tempo).

 

I lavoratori a seguito dell’esito negativo del tampone possono riprendere l’attività lavorativa. Il

certificato di guarigione è trasmesso dal Dipartimento di Sanità Pubblica al lavoratore.

Ai fini del reintegro, il medico competente, previa presentazione della certificazione di cui sopra da

parte del lavoratore, effettua la visita medica precedente alla ripresa del lavoro per verificare

l’idoneità alla mansione (art. 41, comma 2, lett. e-ter) del D.Lgs. 81/08), nonchè per valutare profili

specifici di “rischiosità” e comunque indipendentemente dalla durata dell’assenza per malattia

(come previsto dal Protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento della diffusione

del COVID-19 del 24/04/20- allegato 12 del DPCM 03/11/20).

Nello specifico:

  • il datore di lavoro informa i lavoratori dell’obbligo di inviare certificazione di avvenuta negativizzazione come rilasciata secondo le disposizioni locali e di comunicare in via riservata al medico competente anche ogni altra variazione del loro stato di salute;
  • Il lavoratore contatta il medico competente che acquisisce la documentazione sanitaria e valuta con il lavoratore stesso la necessità di sottoporlo o meno a Visita di reintegro.

 

Laddove la visita fosse ritenuta necessaria:

  • il lavoratore sottopone al datore di lavoro richiesta di visita straordinaria (art. 41 c. 2 lett. c);
  • se il lavoratore non intende chiedere la vista straordinaria, il datore di lavoro sottopone al medico competente richiesta di Visita ai sensi del DPCM in vigore al momento.

 

In entrambi i due ultimi casi, il medico competente esprimerà un Giudizio di idoneità provvisorio che contiene le prescrizioni o limitazioni imposte dagli esiti di malattia Covid-19. Nel caso che la Visita non sia ritenuta necessaria, il medico competente potrebbe comunque dover indicare al datore di lavoro misure aggiuntive di tutela.

 

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